Ricorso della regione autonoma della Sardegna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore on. Mario Floris, giusta delibera della giunta n. 3/1 del 20 gennaio 1990, rappresentata e difesa - in virtu' di mandato a margine del presente atto - dall'avv. prof. Sergio Panunzio, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 18, 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, recante "norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni, nonche' disposizioni varie". F A T T O E' ben noto che l'autonomia delle regioni e delle province di Trento e Bolzano trova il suo essenziale supporto nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21 del 1956 - le regioni e province autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119 della Costituzione) nello statuto speciale della regione Sardegna (legge costituzionale 16 febbraio 1948, n. 3), spec. artt. 7 e segg. (titolo terzo) anche in relazione agli artt. 3 e 6, e nelle relative norme d'attuazione. Se poi si considera come anche per le regioni ad autonomia speciale e per le due province autonome di Trento e Bolzano, la massima parte delle loro risorse finanziarie sia costituita da una finanza "derivata", e cioe' consistente nei periodici trasferimenti di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come non solo la quantita', ma che la regolarita', la tempestivita' e, in una parola, la affidabilita' di tali trasferimenti sia essenziale per garantire alle regioni e province autonome una effettiva autonomia nell'esercizio delle loro funzioni, il buon andamento delle loro amministrazioni e dei servizi pubblici di loro competenza, la programmabilita' della loro azione. E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali e provinciali in materia di sanita', la cui spesa e' alimentata essenzialmente dai trasferimenti annuali provenienti dal fondo sanitario nazionale. Proprio in relazione a tale settore codesta ecc.ma Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi dello Stato, ivi compresi quelli finanziari, siano improntati ad organicita' e stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/1983 essa ha rilevato come "il susseguirsi di anno in anno di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria renda quanto mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale"; e poi nella sentenza n. 245/1984 - a proposito delle disposizioni in materia sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava come per dare una disciplina organica e per assicurare efficenza al servizio sanitario nazionale "non servono allo scopo le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: la' dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, e' infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle Pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo". Tali ammonimenti, come e' evidente, hanno un valore che va' al di la' del solo settore sanitario, poiche' il problema cui essi si riferiscono riguarda in genere tutte le attivita' di competenza regionale e provinciale, che risultino condizionate da scelte dello Stato e da trasferimenti finanziari da questo operati. Ma si tratta di ammonimenti ai quali lo Stato e' stato sino ad oggi sordo. In particolare per quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite (i decreti-legge 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di vario genere, ma per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso di tale strumento, sono stati fatti da codesta ecc.ma Corte - sentenza n. 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi stabilita dalla legge n. 400/1988). E' una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto, al d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente atto. Non riuscendo, da un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di legge sulla autonomia finanziaria delle regioni e sui rapporti finanziari fra lo Stato e le regioni e province autonome (una delle leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria 1990) e volendo comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il Governo ha pensato bene di adottare un provvedimento - quale e' appunto il suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per vari aspetti censurabile. Di tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo l'art. 18 ("Riduzione di fondi per le regioni a statuto speciale e per le province autonome"). In particolare al primo comma esso stabilisce che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle sole regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano di una serie di fondi, e cioe': il fondo comune per i servizi dei consultori familiari, ivi compresi quelli relativi all'interruzione volontaria della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405 e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex Omni trasferite (di cui all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo per gli asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29 novembre 1977, n. 891, ed art. 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo stesso primo comma dell'art. 18, nella sua ultima parte, stabilisce che "Le predette regioni sono altresi' escluse dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di trasporto con propri mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151". Il successivo articolo 19 del decreto-legge reca il titolo "Riduzione del Fondo sanitario nazionale per le regioni a statuto speciale e per le province autonome". Esso al primo comma stabilisce che "A decorrere dall'anno 1990 alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano le assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del livello delle compartecipazioni ai tributi statali dai rispettivi ordinamenti, del 20 per cento per la regione Valle d'Aosta, e per le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10 per cento per le regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5 per cento per la regione Sardegna. Il secondo comma dello stesso art.19 stabilisce poi che "Ai fini della ripartizione del Fondo sanitario nazionale di parte corrente il Cipe, per l'anno 1990, fa riferimento all'importo complessivo, al lordo delle riduzioni di cui al primo comma, valutate in lire 970 miliardi". Infine vi e' l'art. 20, che reca il titolo "Esclusione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni fondi settoriali". Esso cosi' recita nel suo unico comma: " Le regioni a stauto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano sono escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi: a) fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n. 281, al netto della quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n. 574; b) fondo per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della legge 8 novembre 1986, n. 752, al netto delle somme spettanti ai sensi del secondo comma del predetto art. 3; c) fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui all'articolo 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752; d) fondo per gli interventi nel settore dei trasporti pubblici locali; e) fondo sanitario di conto capitale". Si tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti censurabile e lesiva delle autonomie regionali e provinciali. In primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo di intervento contingente e disorganico che non e' ammissibile in una materia cosi' delicata e costituzionalmente rilevante. Inoltre perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti quanto irrazionali ai trasferimenti finanziari riguardanti le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione ad attivita' e spese che peraltro queste debbono comunque effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato), lede l'autonomia degli enti stessi: sia quella finanziaria sia quella "funzionale" (costringendo in ogni caso gli enti a coprire quelle spese sottraendo proprie risorse finanziarie ad altre destinazioni e comprimendo e pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle funzioni e dei servizi). Infine perche' i tagli sono stati effettuati solo a carico delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano. A quest'ultimo riguardo non si puo' non osservare sin d'ora come il decreto-legge manifesti ancora una volta un atteggiamento discriminatorio del Governo nei confronti delle autonomie speciali di per se' inammissibile, e comunque tanto piu' censurabile per il fatto che, in tal modo, la "specialita'" delle autonomie in questioni si traduce, anziche' - come deve essere - in un arricchimento di tali autonomie, in una compressione delle medesime, che e' del tutto incompatibile con i principi costituzionali. Pertanto la regione autonoma della Sardegna si vede costretta ad impugnare la suddetta disciplina legislativa per i seguenti modivi di D I R I T T O 1. - Violazione, da parte dell'art. 19 del decreto-legge impugnato, delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6, e del titolo terzo (artt. 7 e 14) dello statuto speciale della Sardegna e delle relative norme d'attuazione, nonche' degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione. Il "taglio" dei finanziamenti (per riduzione o esclusione) disposto dalla disciplina legislativa impugnata a carico dell'ente ricorrente assume particolare gravita' per quanto riguarda i fondi relativi a prestazioni sanitarie: sia per l'entita' dei tagli, sia per la essenzialita' e peculiarita' dei servizi su cui essi finiscono per incidere. Conviene dunque partire dall'art. 19 del decreto-legge inpugnato, il cui contenuto si e' gia' riportato in precedenza e che, come si e' visto, riduce del 5% le assegnazioni alla regione della parte corrente del Fondo sanitario nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978. Un aspetto essenziale della disciplina contenuta nell'art. 19 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt. 18 e 20, ma che per la spesa sanitaria di cui all'art. 19 e' particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale disciplina lo stato riduce alla regione le risorse che ad essa sono peraltro necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative spese obbligatorie per la regione stessa: prestazioni e spese, del tutto "rigide" nella loro entita' e, comunque, non dipendenti da autonome scelte regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato. In altri termini, con tale disciplina si pone a carico della regione la spesa sanitaria senza che pero' la regione abbia gli strumenti per controllarla e tanto meno ridurla; e quindi la si costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei trasferimenti del Fondo sanitario destinato a tali spese le risorse proprie che debbono quindi essere distolte dai loro impieghi, cosi' riducendo altri tipi di interventi regionali, ostacolando l'esercizio delle normali funzioni della regione, impedendole una razionale programmazione degli interventi, sconvolgendo le stessse previsioni di bilancio (basti pensare che la regione ha gia' approvato il bilancio di previsione del 1990 facendo affidamento sui fondi che ora si trova ad avere decurtati). Che la regione non abbia effettivamente poteri di controllo sulla spesa sanitaria e' cosa sin troppo nota per indugiare qui ad analitiche dimostrazioni. Salvo ritornare sul punto in ulteriori scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto riguarda le funzioni ospedaliere, sia i livelli retributivi che in genere il trattamento del personale non dipendono dalla regione (ma sono regolati da accordi stipulati a livello nazionale); anche le spese per acquisti di beni e servizi dipendono essenzialmente da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo sui prezzi dei prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico, la disciplina dei tiket. Anche per quanto riguarda l'assistenza specialistica e la medicina di base e' a livello statale che vengono predisposte le convenzioni con i medici privati. Cosi', come in genere, e' sempre a livello statale che vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari. Tutto cio, del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi n. 452/1989) ha rilevato come "non si puo' presupporre 'che le amministrazioni regionali portino (. . . ) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle unita' sanitarie locali', in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di Governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini". Ed ha poi ribadito (sentenza n. 452/1989) che la garanzia della autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o ala provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e' certo quello di contestare la necessita' di un intervento dello Stato per il risanamento della spesa pubblica. Ne' si ritiene, evidentemente, che le regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il problema e' piuttosto un altro. Ed e' che l'onere non puo' essere caricato esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due province di Trento e Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in modo organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il tutto in modo da ridurre le spese; e solo a seguito di questo riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata - lasciando immutate la regolamentazione del servizio e la entita' degli oneri, e pero' riducendo i relativi finanziamenti alle sole regioni a statuto speciale e province autonome, e quindi scaricando su di esse (e solo su di esse) il costo e le conseguenze della manovra finanziaria. Una siffatta disciplina, che attribuisce alla regione ricorrente la responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini, senza fornire pero' ad essa i mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il controllo ed il governo della spesa stessa, viola dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria della regione, specie (ma non solo) in materia di sanita' (artt. 4, lett. i), 6, e titolo terzo dello statuto); ed al tempo stesso viola il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato, e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali". La fondatezza di tali censure trova sostegno, invero, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che in piu' occasioni (ma spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e la responsabilita' della relativa spesa ha dichiarato la incostituzionalita' di norme legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui bilanci delle regioni e delle province autonome (senza disporre i corrispondenti trasferimenti di risorse finanziarie) spese necessarie per il funzionamento del servizio sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti, o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse (e le province autonome) a prelevare le risorse necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e le province autonome) o comunque dalla finanza "propria". Riassumendo. La disciplina stabilita dall'art. 19 del decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in primo luogo, perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita dall'art. 81, quarto cmma, della Costituzione, come esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in quanto essa accolla alla regione ricorrente nuove spese senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte. Cosi' facendo la disciplina impugnata viola, al tempo stesso, l'autonomia finanziaria della regione in materia - in primo luogo di sanita' (artt. 4, lett. i), 6 e titolo terzo dello statuto, nonche' art. 119 della Costituzione), ma anche nelle altre materie di competenza propria (artt. 3 e 5 dello statuto). Cio' in quanto tale disciplina, senza tenere minimamente conto delle esigenze di coordinamento della spesa statale con quella regionale, scarica sul bilancio della regione spese di cui essa non ha il governo, e che non possono da essa essere sostenute altro che stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento della regione anche nelle altre materie di propria competenza. Tale disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore profilo, per violazione anche degli artt. 3, 32 e 116 della Costituzione. In modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa, infatti, discrimina la regione ricorrente, nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria che non subiscono riduzioni di assegnazioni di quote del Fondo sanitario di parte corrente; ma gia' si e' detto all'inizio come tale discriminazione in peius, oltre che inammissibile in se', e' in contrasto proprio con le ragioni della specialita' dell'autonomia della regione ricorrente, sancita in primo luogo dall'art. 116 della Costituzione. In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra enti, ma fra gli stessi cittadini italiani, a seconda della loro residenza. Poiche' mentre essi hanno tutti, egualmente, un diritto costituzionalmente garantito ad un eguale trattamento sanitario da parte delle strutture pubbliche, viceversa la disciplina impugnata (per quanto le regioni e province autonome da essa discriminate possono cercare di far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente sulla funzionalita' e qualita' dei servizi resi dalle strutture della regione ricorrente, dando cosi' luogo ad una ingiustificata differenziazione di trattamento a scapito di cittadini della regione stessa. Infine, le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come la disciplina in questione determini, altresi', una violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, pregiudicando il buon andamento della amministrazione regionale e dei servizi pubblici di sua competenza. 2. - Violazione, da parte degli artt. 18 e 20 del decreto-legge impugnato, delle attribuzioni regionali e dei principi di cui alle norme costituzionali gia' indicate in precedenza. 2.1. - Non e' solo l'art. 19 del decreto-legge impugnato a riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20. Quest'ultimo, in particolare, alla lett. e) addirittura esclude totalmente la regione ricorrente dal riparto del Fondo sanitario nazionale per cio' che riguarda le assegnazioni in conto capitale: quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra l'altro, alla manutenzione straordinaria delle strutture, degli impianti e delle attrezzature sanitarie, al rinnovo degli stessi; allo sviluppo ed agli investimenti. Quanto poi all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche questo stabilisca la esclusione della regione ricorrente da fondi concernenti la spesa sanitaria: come il Fondo per i servizi dei consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che svolgono in particolare anche il servizio di assistenza alla donna che voglia interrompere la gravidanza. E' palese come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei confronti della disciplina contenuta nell'art. 19 del decreto-legge impugnato valgono, a maggior ragione, anche nei confronti degli ulteriori tagli al finanziamento della spesa sanitaria stabiliti dalle surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso, infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spesa ed oneri, in relazione ai quali la regione non ha poteri rilevanti di scelta o di controllo, pur dovendo necessariamente farvi fronte caricandoli sul proprio bilancio. Pertanto si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni svolte nel precedente motivo di ricorso, relative alla violazione: a) del principio della copertura della spesa ex art. 81 della Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978); b) dall'autonomia finanziaria della regione nelle materie di competenza in base alle norme costituzionali gia' richiamate, ed in particolare in materia di assistenza e di sanita' (spec. artt. 4, lettere h) ed i), 6 e titolo terzo dello statuto); c) degli artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione, sotto i profili gia' illustrati, per le irragionevoli discriminazioni e disfunzioni cui da' luogo la normativa in questione. 2.2. - Ancora per quanto riguarda la disciplina stabilita dal primo comma dell'art. 18 del decreto-legge impugnato, merita di essere particolarmente sottolineata la esclusione che pure vi e' disposta, a carico della regione ricorrente, dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia' si e' visto, lo stesso primo comma dell'art. 18 aggiunge che le regioni dovranno provvedere alla concessione dei contributi alle aziende di trasporto (per il ripiano dei disavanzi) "con propri mezzi finanziari"; e che restano fermi per le regioni i principi di cui alla legge n. 151/1981: fra cui, dunque, quello che impone alle regioni di intervenire per ripianare (almeno in parte) i disavanzi delle aziende di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981). Tale disciplina, dunque, incide particolarmente in una materia di competenza regionale di grado primario, quale e' quella in materia di trasporti di interesse regionale di cui all'art. 3, lett. g), dello statuto (oltre che in quella concorrente in materia di servizi pubblici di interesse regionale, ex art. 4, lett. g), dello statuto). Anche questa disciplina addossa alla regione un nuovo onere senza pero' fornirle le risorse per fronteggiarlo. Pertanto anche nei confronti di tale disciplina valgono integralmente le censure gia' formulate in precedenza, e che non e' il caso di ripetere ancora. Infatti, anche in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento di un servizio pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a soddisfare - direttamente od indirettamente - rilevanti valori costituzionali (quali quelli che garantiscono il diritto dei cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul territorio, anche per motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un servizio il cui espletamento la regione e' dunque obbligata a garantire, pur avendo poteri assai limitati di controllo sulla relativa spesa, specie se si considerano i poteri dello Stato in ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160). Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e' costituzionalmente corretto addossare alle (sole) regioni ad autonomia speciale - escludendo dal riparto dell'apposito Fondo nazionale - l'onere di ripianare, esclusivamente con le finanze proprie, i disavanzi delle aziende di trasporto in questione. La incostituzionalita' della disciplina impugnata trova del resto conferma in quanto affermato in argomento da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto), che pure dichiaro' incostituzionale una analoga norma legislativa dello Stato che obbligava le regioni a ripianare i deficit delle aziende locali di trasporto attingendo alle proprie finanze (anziche' al Fondo nazionale di cui alla legge n. 151/1981). 2.3. - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del decreto-legge impugnato esclude la regione ricorrente dalle erogazioni provenienti dal Fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della soppressa O.N.M.I. (legge n. 698/1975) e dal Fondo per gli asili nido (legge n. 891/1977); mentre l'art. 20 del decreto-legge impugnato, alle lettere da a) a d) esclude la regione ricorrente da altri fondi di settore (oltre che da quello sanitario di conto capitale, di cui si e' gia' detto in precedenza). Orbene, per quanto riguarda la esclusione della regione dal "Fondo per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali" (art. 20, lett. d), valgono, evidentemente, le stesse censure ed argomentazioni gia' svolte in precedenza (n. 2.2.) a proposito della esclusione dal Fondo per il ripiano dei disavanzi delle aziende di trasporto. Ma anche per quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui all'art. 20 (per i programmi regionali di sviluppo, per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura, per l'attuazione del piano forestale nazionale) - pur avendo un particolare rilievo, in relazione ai relativi interventi regionali, anche ulteriori norme statutarie attributive di competenze proprie della regione in varie materie (spec. artt. 3, lett. d), 4, lett. h) dello statuto e relative norme di attuazione, fra cui d.P.R. n. 348/1979) - si possono formulare censure ed argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle gia' svolte in precedenza: specie in considerazione del fatto che si tratta di spese per interventi che la regione ricorrente e' tenuta a svolgere per soddisfare alle finalita' di pubblico interesse ad esso affidate dallo statuto e dalle leggi, e della irragionevole discriminazione operata a suo danno dalla disciplina impugnata, che ammette invece al riparto del fondo le regioni ad autonomia ordinaria. 3. - Violazione delle attribuzioni e dei principi di cui alle disposizioni costituzionali gia' indicati. Violazione dell'art. 47 dello statuto e relative norme d'attuazione. 3.1. - Se si considera, infine, globalmente la disciplina impugnata del d.-l. n. 415/1989, e quindi l'entita' complessiva delle decurtazioni alla finanza derivata della regione ricorrente, che da tale disciplina conseguono, emerge allora un ulteriore e connesso profilo di incostituzionalita' che viene anch'esso dedotto con il presente atto. Infatti, la decurtazione complessiva e' di circa 419 miliardi. Se si considera che il bilancio preventivo 1990 della regione ricorrente e' di circa 6.200 miliardi ne risulta una decurtazione di circa il 7%. Orbene, e' vero che le norme costituzionali non definiscono in termini quantitativi quale debba essere l'entita' delle risorse finanziarie da attribuire alle regioni e province autonome. Ma - come in altra occasione rilevato da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 307/1983), il rispetto dell'autonomia finanziaria regionale e provinciale impone al legislatore statale - quando questi riduca l'entita' dei trasferimenti finanziari alle regioni e province autonome - di evitare che venga "gravemente alterato il necessario rapporto di complessiva corrispondenza (...) fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cosi' alle regioni il normale espletamento delle loro funzioni". Se, dunque, tale rapporto viene gravemente alterato dalla legge dello Stato essa e' allora incostituzionale, perche' lesivo dell'autonomia finanziaria delle regioni e delle province autonome. Ma e' appunto questo il caso della disciplina qui impugnata, ove appunto si consideri la entita' della decurtazione di risorse finanziarie da essa disposta. 3.2. - Specie se si ha presente quanto da ultimo osservato circa la rilevanza anche in termini quantitativi della decurtazione di risorse finanziarie operata dalla disciplina impugnata a carico della regione ricorrente, ne risulta con evidenza anche un ulteriore motivo di incostituzionalita'. La disciplina impugnata, infatti, riguarda soltanto le regioni ad autonomia speciale e le province di Trento e Bolzano. Non vi e' dubbio, quindi, che si tratta di una disciplina che "riguarda particolarmente" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi dell'art. 47, ultimo comma, dello statuto, il presidente della regione doveva essere convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 1989, in cui venne deliberato il decreto-legge impugnato (cosi' come esso era stato doverosamente invitato a partecipare al Consiglio dei Ministri per la predisposizione del disegno di legge "di accompagnamento" alla legge finanziaria 1990, il cui contenuto e' stato poi ripreso dal decreto-legge impugnato). Ma il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione della deliberazione del Consiglio dei Ministri relativa al decreto-legge in questione. Cio' comporta una puntuale violazione della norma statutaria e dell'autonomia regionale, e quindi la incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata.