Ricorso  della  regione  autonoma  della  Sardegna,  in persona del
 presidente della  giunta  regionale  pro-tempore  on.  Mario  Floris,
 giusta   delibera   della   giunta   n.  3/1  del  20  gennaio  1990,
 rappresentata e difesa - in virtu' di mandato a margine del  presente
 atto  -  dall'avv.  prof.  Sergio  Panunzio,  e  presso  quest'ultimo
 elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n.  3,  contro  la
 Presidenza  del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del
 Consiglio in carica,  per  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'
 degli  articoli  18,  19  e  20  del  d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415,
 recante "norme urgenti in materia di finanza  locale  e  di  rapporti
 finanziari tra lo Stato e le regioni, nonche' disposizioni varie".
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle regioni e delle province di
 Trento  e  Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto  nella  loro
 autonomia  finanziaria.  Onde  -  come  e' stato affermato da codesta
 ecc.ma Corte fin dalla sentenza  n.  21  del  1956  -  le  regioni  e
 province  autonome  hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a
 disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese  necessarie  ad
 adempiere  alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della
 regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art.  119
 della  Costituzione)  nello  statuto  speciale della regione Sardegna
 (legge costituzionale 16 febbraio 1948, n. 3), spec. artt. 7 e  segg.
 (titolo  terzo) anche in relazione agli artt. 3 e 6, e nelle relative
 norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma che la regolarita', la tempestivita' e, in una  parola,
 la  affidabilita'  di tali trasferimenti sia essenziale per garantire
 alle  regioni   e   province   autonome   una   effettiva   autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi  dello  Stato,
 ivi  compresi  quelli  finanziari,  siano improntati ad organicita' e
 stabilita'.  In  particolare  nella  sentenza  n.  307/1983  essa  ha
 rilevato  come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a
 carattere contingente, in  deroga  alla  disciplina  ordinaria  renda
 quanto  mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza
 regionale"; e poi nella sentenza n.  245/1984  -  a  proposito  delle
 disposizioni  in  materia sanitaria contenute nella legge finanziaria
 1984 -  osservava  come  per  dare  una  disciplina  organica  e  per
 assicurare  efficenza  al  servizio  sanitario nazionale "non servono
 allo scopo le leggi  finanziarie,  ne'  gli  altri  provvedimenti  di
 carattere  urgente  o  comunque  contingente:  la' dove sono in gioco
 funzioni  e  diritti  costituzionalmente  previsti  e  garantiti,  e'
 infatti  indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento
 della spesa pubblica, per assicurare la certezza del  diritto  ed  il
 buon  andamento  delle Pubbliche amministrazioni, mediante discipline
 coerenti e destinate a durare nel tempo".
    Tali  ammonimenti, come e' evidente, hanno un valore che va' al di
 la' del solo settore sanitario,  poiche'  il  problema  cui  essi  si
 riferiscono  riguarda  in  genere  tutte  le  attivita' di competenza
 regionale e provinciale, che risultino condizionate da  scelte  dello
 Stato  e  da trasferimenti finanziari da questo operati. Ma si tratta
 di ammonimenti ai quali lo Stato e' stato  sino  ad  oggi  sordo.  In
 particolare  per  quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo
 Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite
 (i decreti-legge 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non
 convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di  vario  genere,
 ma  per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge
 (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso  di  tale
 strumento,  sono  stati  fatti  da codesta ecc.ma Corte - sentenza n.
 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi  stabilita  dalla
 legge n. 400/1988).
    E'  una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto
 di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto,
 al  d.-l.  28  dicembre  1989,  n.  415  (pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente  atto.  Non
 riuscendo,  da  un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di
 legge sulla  autonomia  finanziaria  delle  regioni  e  sui  rapporti
 finanziari  fra  lo Stato e le regioni e province autonome (una delle
 leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria  1990)  e  volendo
 comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il
 Governo ha pensato bene di  adottare  un  provvedimento  -  quale  e'
 appunto  il  suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per
 vari aspetti censurabile.
    Di  tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo l'art. 18
 ("Riduzione di fondi per le regioni  a  statuto  speciale  e  per  le
 province  autonome").  In  particolare al primo comma esso stabilisce
 che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle  sole  regioni  a
 statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano di una
 serie di fondi, e cioe': il fondo comune per i servizi dei consultori
 familiari,  ivi  compresi quelli relativi all'interruzione volontaria
 della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29  luglio  1975,  n.
 405  e  art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo speciale
 per l'esercizio delle  funzioni  gia'  ex  Omni  trasferite  (di  cui
 all'art.  10  della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo per gli
 asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29 novembre 1977,  n.  891,
 ed  art.  2  della  legge 6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo stesso
 primo comma dell'art. 18, nella sua ultima parte, stabilisce che  "Le
 predette   regioni  sono  altresi'  escluse  dal  riparto  del  fondo
 nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende  di
 trasporto  di  cui  all'art.  9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e
 provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di  trasporto
 con  propri  mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime
 regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151".
    Il  successivo  articolo  19  del  decreto-legge  reca  il  titolo
 "Riduzione del Fondo sanitario nazionale per  le  regioni  a  statuto
 speciale  e per le province autonome". Esso al primo comma stabilisce
 che "A decorrere dall'anno 1990 alle regioni  a  statuto  speciale  e
 alle  province  autonome  di  Trento  e di Bolzano le assegnazioni di
 parte corrente del Fondo sanitario  nazionale  sono  ridotte,  tenuto
 conto  del  livello  delle  compartecipazioni  ai tributi statali dai
 rispettivi ordinamenti,  del  20  per  cento  per  la  regione  Valle
 d'Aosta,  e  per  le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10
 per cento per le regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5  per
 cento per la regione Sardegna.
    Il  secondo  comma dello stesso art.19 stabilisce poi che "Ai fini
 della ripartizione del Fondo sanitario nazionale di parte corrente il
 Cipe,  per  l'anno  1990,  fa riferimento all'importo complessivo, al
 lordo delle riduzioni di cui al primo comma,  valutate  in  lire  970
 miliardi".
    Infine  vi  e'  l'art.  20,  che  reca il titolo "Esclusione delle
 regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni  fondi
 settoriali".  Esso  cosi'  recita nel suo unico comma: " Le regioni a
 stauto speciale e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  sono
 escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi:
       a)  fondo  per i programmi regionali di sviluppo a destinazione
 indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n.  281,  al
 netto  della  quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n.
 574;
       b)  fondo  per  l'attuazione  degli  interventi  programmati in
 agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della  legge  8  novembre
 1986,  n.  752,  al  netto delle somme spettanti ai sensi del secondo
 comma del predetto art. 3;
       c)  fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui
 all'articolo 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752;
       d)  fondo per gli interventi nel settore dei trasporti pubblici
 locali;
       e) fondo sanitario di conto capitale".
    Si  tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti
 censurabile e lesiva delle  autonomie  regionali  e  provinciali.  In
 primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo
 di intervento contingente e disorganico che non e' ammissibile in una
 materia   cosi'  delicata  e  costituzionalmente  rilevante.  Inoltre
 perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti quanto irrazionali
 ai trasferimenti finanziari riguardanti le regioni a statuto speciale
 e le province autonome di  Trento  e  di  Bolzano,  in  relazione  ad
 attivita'  e  spese  che  peraltro queste debbono comunque effettuare
 (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato), lede l'autonomia
 degli  enti  stessi:  sia  quella finanziaria sia quella "funzionale"
 (costringendo in ogni caso gli enti a coprire quelle spese sottraendo
 proprie  risorse  finanziarie  ad  altre destinazioni e comprimendo e
 pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle  funzioni
 e  dei  servizi). Infine perche' i tagli sono stati effettuati solo a
 carico delle regioni ad autonomia speciale e delle province  autonome
 di  Trento  e  Bolzano.  A  quest'ultimo  riguardo  non  si  puo' non
 osservare sin d'ora come il decreto-legge manifesti ancora una  volta
 un  atteggiamento  discriminatorio  del  Governo  nei confronti delle
 autonomie speciali di per se' inammissibile, e  comunque  tanto  piu'
 censurabile  per  il  fatto  che, in tal modo, la "specialita'" delle
 autonomie in questioni si traduce, anziche' - come deve essere  -  in
 un  arricchimento  di  tali  autonomie,  in  una  compressione  delle
 medesime,  che  e'   del   tutto   incompatibile   con   i   principi
 costituzionali.
    Pertanto  la  regione autonoma della Sardegna si vede costretta ad
 impugnare la suddetta disciplina legislativa per i seguenti modivi di
                             D I R I T T O
    1.   -   Violazione,  da  parte  dell'art.  19  del  decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, 4,  5  e
 6,  e  del  titolo  terzo (artt. 7 e 14) dello statuto speciale della
 Sardegna e delle relative norme d'attuazione, nonche' degli artt.  3,
 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione.
    Il   "taglio"  dei  finanziamenti  (per  riduzione  o  esclusione)
 disposto dalla disciplina legislativa impugnata  a  carico  dell'ente
 ricorrente  assume  particolare  gravita' per quanto riguarda i fondi
 relativi a prestazioni sanitarie: sia per l'entita'  dei  tagli,  sia
 per la essenzialita' e peculiarita' dei servizi su cui essi finiscono
 per incidere. Conviene dunque partire dall'art. 19 del  decreto-legge
 inpugnato, il cui contenuto si e' gia' riportato in precedenza e che,
 come si e' visto, riduce del 5% le assegnazioni  alla  regione  della
 parte  corrente  del  Fondo  sanitario  nazionale, di cui all'art. 51
 della legge n. 833/1978.
    Un  aspetto  essenziale  della  disciplina  contenuta nell'art. 19
 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt.  18  e
 20,   ma   che   per  la  spesa  sanitaria  di  cui  all'art.  19  e'
 particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale  disciplina  lo
 stato  riduce  alla  regione  le  risorse  che  ad essa sono peraltro
 necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative
 spese  obbligatorie  per  la regione stessa: prestazioni e spese, del
 tutto "rigide" nella loro entita'  e,  comunque,  non  dipendenti  da
 autonome  scelte  regionali,  ma  piuttosto  da  determinazioni dello
 Stato.
    In  altri  termini,  con  tale  disciplina  si pone a carico della
 regione la spesa sanitaria senza  che  pero'  la  regione  abbia  gli
 strumenti  per  controllarla  e  tanto  meno  ridurla; e quindi la si
 costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei  trasferimenti
 del  Fondo  sanitario  destinato  a tali spese le risorse proprie che
 debbono quindi essere distolte dai  loro  impieghi,  cosi'  riducendo
 altri  tipi  di  interventi  regionali, ostacolando l'esercizio delle
 normali   funzioni   della   regione,   impedendole   una   razionale
 programmazione  degli  interventi, sconvolgendo le stessse previsioni
 di bilancio (basti pensare  che  la  regione  ha  gia'  approvato  il
 bilancio di previsione del 1990 facendo affidamento sui fondi che ora
 si trova ad avere decurtati).
    Che  la regione non abbia effettivamente poteri di controllo sulla
 spesa sanitaria  e'  cosa  sin  troppo  nota  per  indugiare  qui  ad
 analitiche  dimostrazioni.  Salvo  ritornare  sul  punto in ulteriori
 scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto
 riguarda  le  funzioni  ospedaliere, sia i livelli retributivi che in
 genere il trattamento del personale non dipendono dalla  regione  (ma
 sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello nazionale); anche le
 spese per acquisti di beni  e  servizi  dipendono  essenzialmente  da
 necessita'  obiettive  e  dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda
 l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo  sui  prezzi
 dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico,
 la disciplina dei  tiket.  Anche  per  quanto  riguarda  l'assistenza
 specialistica  e la medicina di base e' a livello statale che vengono
 predisposte le convenzioni con  i  medici  privati.  Cosi',  come  in
 genere,  e'  sempre  a  livello  statale  che  vengono  stabiliti gli
 standards dei servizi sanitari.
    Tutto cio, del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale
 gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi n. 452/1989) ha rilevato
 come  "non  si  puo'  presupporre  'che  le amministrazioni regionali
 portino  (.  .  .  )  l'effettiva  responsabilita'  degli   eventuali
 disavanzi  delle unita' sanitarie locali', in quanto gran parte della
 spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni
 mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle
 stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita'  sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   Governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i  cittadini".
 Ed  ha  poi  ribadito  (sentenza  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essere  addossati  al bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 ala  provincia  autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non
 certo quella essenziale - alla regione".
    E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle
 osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e'  certo
 quello  di  contestare la necessita' di un intervento dello Stato per
 il risanamento della spesa pubblica. Ne' si  ritiene,  evidentemente,
 che  le  regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a
 sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il  problema  e'
 piuttosto  un  altro.  Ed  e'  che  l'onere  non puo' essere caricato
 esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province
 di  Trento  e  Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit
 della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in
 modo  organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi,
 gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il
 tutto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e  solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli  oneri,  e  pero'  riducendo i relativi finanziamenti alle sole
 regioni a statuto speciale e province autonome, e  quindi  scaricando
 su  di  esse  (e  solo  su  di  esse) il costo e le conseguenze della
 manovra finanziaria.
    Una  siffatta  disciplina, che attribuisce alla regione ricorrente
 la responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare  un
 diritto  costituzionale  dei cittadini, senza fornire pero' ad essa i
 mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il  controllo
 ed  il  governo  della  spesa  stessa,  viola dunque, ad un tempo, il
 principio costituzionale di  ragionevolezza  e  quello  di  autonomia
 finanziaria della regione, specie (ma non solo) in materia di sanita'
 (artt. 4, lett. i), 6, e titolo terzo dello  statuto);  ed  al  tempo
 stesso   viola   il  principio  di  copertura  finanziaria  stabilito
 dall'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione.  Un   principio,
 quest'ultimo,  che  si estende anche alle spese accollate dallo Stato
 agli enti del  c.d.  settore  pubblico  allargato,  e  del  quale  e'
 puntuale  espressione  l'art.  27  della legge 5 agosto 1978, n. 468,
 secondo cui "Le leggi che comportano  oneri,  anche  sotto  forma  di
 minori  entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente
 art. 25 devono contenere  la  previsione  dell'onere  stesso  nonche'
 l'indicazione   della  copertura  finanziaria  riferita  ai  relativi
 bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le province autonome)  a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.    La   disciplina   stabilita   dall'art.   19   del
 decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in  primo  luogo,
 perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita
 dall'art. 81, quarto cmma, della Costituzione,  come  esplicitato  ed
 attuato  anche  dall'art.  27 della legge n. 468/1978, in quanto essa
 accolla  alla  regione  ricorrente  nuove  spese  senza  prevedere  e
 fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria della regione in materia - in primo luogo  di
 sanita'  (artt.  4, lett. i), 6 e titolo terzo dello statuto, nonche'
 art. 119  della  Costituzione),  ma  anche  nelle  altre  materie  di
 competenza  propria  (artt. 3 e 5 dello statuto). Cio' in quanto tale
 disciplina,  senza  tenere  minimamente  conto  delle   esigenze   di
 coordinamento  della  spesa statale con quella regionale, scarica sul
 bilancio della regione spese di cui essa non ha il governo, e che non
 possono  da essa essere sostenute altro che stornando proprie risorse
 finanziarie destinate ad  altri  settori;  e,  quindi,  riducendo  le
 capacita'  di  spesa  e di intervento della regione anche nelle altre
 materie di propria competenza.
    Tale  disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore
 profilo,  per  violazione  anche  degli  artt.  3,  32  e  116  della
 Costituzione.  In  modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa,
 infatti,  discrimina  la  regione  ricorrente,  nei  confronti  delle
 regioni  ad  autonomia  ordinaria  che  non  subiscono  riduzioni  di
 assegnazioni di quote del Fondo sanitario di parte corrente; ma  gia'
 si  e' detto all'inizio come tale discriminazione in peius, oltre che
 inammissibile in se', e' in contrasto proprio con  le  ragioni  della
 specialita' dell'autonomia della regione ricorrente, sancita in primo
 luogo dall'art. 116 della Costituzione.
    In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra
 enti, ma fra gli stessi cittadini  italiani,  a  seconda  della  loro
 residenza.  Poiche'  mentre  essi hanno tutti, egualmente, un diritto
 costituzionalmente garantito ad un eguale  trattamento  sanitario  da
 parte  delle  strutture  pubbliche, viceversa la disciplina impugnata
 (per quanto le regioni  e  province  autonome  da  essa  discriminate
 possono  cercare  di  far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria
 trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente
 sulla funzionalita' e qualita' dei servizi resi dalle strutture della
 regione  ricorrente,  dando  cosi'  luogo   ad   una   ingiustificata
 differenziazione  di trattamento a scapito di cittadini della regione
 stessa.
    Infine,  le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come
 la disciplina in questione determini, altresi', una violazione  degli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione, pregiudicando il buon andamento
 della  amministrazione  regionale  e  dei  servizi  pubblici  di  sua
 competenza.
    2.  -  Violazione,  da parte degli artt. 18 e 20 del decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali e dei principi  di  cui  alle
 norme costituzionali gia' indicate in precedenza.
    2.1.  -  Non  e'  solo  l'art.  19  del  decreto-legge impugnato a
 riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20.
    Quest'ultimo,  in  particolare,  alla lett. e) addirittura esclude
 totalmente la regione ricorrente  dal  riparto  del  Fondo  sanitario
 nazionale  per  cio'  che riguarda le assegnazioni in conto capitale:
 quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra
 l'altro,  alla  manutenzione  straordinaria  delle  strutture,  degli
 impianti e delle attrezzature sanitarie,  al  rinnovo  degli  stessi;
 allo sviluppo ed agli investimenti.
    Quanto  poi  all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche
 questo stabilisca la esclusione della  regione  ricorrente  da  fondi
 concernenti  la  spesa  sanitaria:  come  il  Fondo per i servizi dei
 consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che
 svolgono  in  particolare  anche il servizio di assistenza alla donna
 che voglia interrompere la gravidanza.
    E'  palese  come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei
 confronti della disciplina contenuta nell'art. 19  del  decreto-legge
 impugnato  valgono,  a  maggior  ragione,  anche  nei confronti degli
 ulteriori tagli al  finanziamento  della  spesa  sanitaria  stabiliti
 dalle  surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso,
 infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spesa  ed  oneri,  in
 relazione  ai quali la regione non ha poteri rilevanti di scelta o di
 controllo, pur dovendo necessariamente farvi fronte  caricandoli  sul
 proprio bilancio.
    Pertanto  si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni
 svolte nel precedente motivo di ricorso, relative alla violazione:
       a)  del  principio della copertura della spesa ex art. 81 della
 Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978);
       b)  dall'autonomia  finanziaria  della regione nelle materie di
 competenza in base alle norme costituzionali gia' richiamate,  ed  in
 particolare  in  materia  di  assistenza e di sanita' (spec. artt. 4,
 lettere h) ed i), 6 e titolo terzo dello statuto);
       c)  degli  artt.  3,  32,  97 e 116 della Costituzione, sotto i
 profili gia'  illustrati,  per  le  irragionevoli  discriminazioni  e
 disfunzioni cui da' luogo la normativa in questione.
    2.2.  -  Ancora  per  quanto  riguarda la disciplina stabilita dal
 primo comma dell'art.  18  del  decreto-legge  impugnato,  merita  di
 essere  particolarmente  sottolineata  la  esclusione  che pure vi e'
 disposta, a carico della regione ricorrente, dal  riparto  del  fondo
 nazionale  per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di
 trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia' si  e'
 visto,  lo  stesso  primo  comma dell'art. 18 aggiunge che le regioni
 dovranno provvedere alla concessione dei contributi alle  aziende  di
 trasporto   (per   il   ripiano  dei  disavanzi)  "con  propri  mezzi
 finanziari"; e che restano fermi per le regioni  i  principi  di  cui
 alla  legge  n.  151/1981:  fra  cui,  dunque, quello che impone alle
 regioni di intervenire per ripianare (almeno in  parte)  i  disavanzi
 delle aziende di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981).
    Tale  disciplina, dunque, incide particolarmente in una materia di
 competenza regionale di grado primario, quale e' quella in materia di
 trasporti  di  interesse regionale di cui all'art. 3, lett. g), dello
 statuto (oltre che  in  quella  concorrente  in  materia  di  servizi
 pubblici di interesse regionale, ex art. 4, lett. g), dello statuto).
 Anche questa disciplina addossa alla regione  un  nuovo  onere  senza
 pero' fornirle le risorse per fronteggiarlo.
    Pertanto   anche   nei   confronti   di  tale  disciplina  valgono
 integralmente le censure gia' formulate in precedenza, e che  non  e'
 il caso di ripetere ancora.
    Infatti,  anche  in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa
 che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento  di  un
 servizio  pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a
 soddisfare  -  direttamente  od  indirettamente  -  rilevanti  valori
 costituzionali   (quali   quelli  che  garantiscono  il  diritto  dei
 cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul  territorio,  anche
 per  motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un
 servizio il  cui  espletamento  la  regione  e'  dunque  obbligata  a
 garantire,  pur  avendo  poteri  assai  limitati  di  controllo sulla
 relativa spesa, specie se si considerano  i  poteri  dello  Stato  in
 ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989, n.
 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160).
    Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e'
 costituzionalmente  corretto  addossare  alle   (sole)   regioni   ad
 autonomia  speciale  -  escludendo  dal  riparto  dell'apposito Fondo
 nazionale - l'onere  di  ripianare,  esclusivamente  con  le  finanze
 proprie,  i  disavanzi  delle  aziende  di trasporto in questione. La
 incostituzionalita'  della  disciplina  impugnata  trova  del   resto
 conferma  in  quanto  affermato  in argomento da codesta ecc.ma Corte
 nella sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto),  che
 pure  dichiaro'  incostituzionale una analoga norma legislativa dello
 Stato che obbligava le regioni a ripianare i  deficit  delle  aziende
 locali  di  trasporto  attingendo  alle  proprie finanze (anziche' al
 Fondo nazionale di cui alla legge n. 151/1981).
    2.3.  - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del
 decreto-legge  impugnato  esclude   la   regione   ricorrente   dalle
 erogazioni  provenienti  dal  Fondo  speciale  per  l'esercizio delle
 funzioni della soppressa O.N.M.I. (legge n. 698/1975) e dal Fondo per
 gli   asili   nido   (legge   n.  891/1977);  mentre  l'art.  20  del
 decreto-legge impugnato, alle lettere da a) a d) esclude  la  regione
 ricorrente  da  altri fondi di settore (oltre che da quello sanitario
 di conto capitale, di cui si e' gia' detto in precedenza).
    Orbene, per quanto riguarda la esclusione della regione dal "Fondo
 per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali" (art.
 20,   lett.   d),   valgono,  evidentemente,  le  stesse  censure  ed
 argomentazioni gia' svolte in precedenza (n. 2.2.) a proposito  della
 esclusione  dal  Fondo  per il ripiano dei disavanzi delle aziende di
 trasporto.
    Ma  anche  per  quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di
 cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui  all'art.
 20  (per  i  programmi  regionali di sviluppo, per l'attuazione degli
 interventi programmati in agricoltura,  per  l'attuazione  del  piano
 forestale   nazionale)  -  pur  avendo  un  particolare  rilievo,  in
 relazione ai relativi interventi  regionali,  anche  ulteriori  norme
 statutarie  attributive  di competenze proprie della regione in varie
 materie (spec. artt. 3,  lett.  d),  4,  lett.  h)  dello  statuto  e
 relative  norme  di  attuazione,  fra  cui  d.P.R.  n. 348/1979) - si
 possono formulare censure ed argomentazioni sostanzialmente  analoghe
 a  quelle  gia'  svolte  in  precedenza: specie in considerazione del
 fatto che si tratta di spese per interventi che la regione ricorrente
 e'  tenuta  a  svolgere  per  soddisfare  alle  finalita' di pubblico
 interesse ad esso affidate dallo  statuto  e  dalle  leggi,  e  della
 irragionevole  discriminazione  operata  a suo danno dalla disciplina
 impugnata, che ammette invece al riparto  del  fondo  le  regioni  ad
 autonomia ordinaria.
    3.  -  Violazione  delle  attribuzioni  e dei principi di cui alle
 disposizioni costituzionali gia' indicati.  Violazione  dell'art.  47
 dello statuto e relative norme d'attuazione.
    3.1.   -  Se  si  considera,  infine,  globalmente  la  disciplina
 impugnata del d.-l. n. 415/1989, e quindi l'entita' complessiva delle
 decurtazioni  alla  finanza derivata della regione ricorrente, che da
 tale disciplina conseguono, emerge allora  un  ulteriore  e  connesso
 profilo  di  incostituzionalita'  che  viene anch'esso dedotto con il
 presente atto.
    Infatti,  la decurtazione complessiva e' di circa 419 miliardi. Se
 si considera che il bilancio preventivo 1990 della regione ricorrente
 e'  di  circa  6.200 miliardi ne risulta una decurtazione di circa il
 7%.
    Orbene,  e'  vero  che  le norme costituzionali non definiscono in
 termini quantitativi  quale  debba  essere  l'entita'  delle  risorse
 finanziarie da attribuire alle regioni e province autonome. Ma - come
 in altra occasione rilevato da  codesta  ecc.ma  Corte  (sentenza  n.
 307/1983),   il   rispetto  dell'autonomia  finanziaria  regionale  e
 provinciale impone al legislatore  statale  -  quando  questi  riduca
 l'entita'  dei  trasferimenti  finanziari  alle  regioni  e  province
 autonome - di evitare che venga "gravemente  alterato  il  necessario
 rapporto  di complessiva corrispondenza (...) fra bisogni regionali e
 mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cosi'  alle  regioni  il
 normale  espletamento delle loro funzioni". Se, dunque, tale rapporto
 viene gravemente alterato dalla legge  dello  Stato  essa  e'  allora
 incostituzionale,  perche'  lesivo  dell'autonomia  finanziaria delle
 regioni e delle province autonome. Ma e' appunto questo il caso della
 disciplina  qui  impugnata, ove appunto si consideri la entita' della
 decurtazione di risorse finanziarie da essa disposta.
    3.2.  -  Specie se si ha presente quanto da ultimo osservato circa
 la rilevanza anche in  termini  quantitativi  della  decurtazione  di
 risorse finanziarie operata dalla disciplina impugnata a carico della
 regione ricorrente, ne risulta con evidenza anche un ulteriore motivo
 di incostituzionalita'.
    La  disciplina impugnata, infatti, riguarda soltanto le regioni ad
 autonomia speciale e le province di  Trento  e  Bolzano.  Non  vi  e'
 dubbio,  quindi,  che  si  tratta  di  una  disciplina  che "riguarda
 particolarmente" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi  dell'art.
 47,  ultimo  comma, dello statuto, il presidente della regione doveva
 essere convocato  per  intervenire  alla  seduta  del  Consiglio  dei
 Ministri   del   22   dicembre  1989,  in  cui  venne  deliberato  il
 decreto-legge impugnato (cosi'  come  esso  era  stato  doverosamente
 invitato   a   partecipare   al   Consiglio   dei   Ministri  per  la
 predisposizione del disegno di legge "di accompagnamento" alla  legge
 finanziaria   1990,  il  cui  contenuto  e'  stato  poi  ripreso  dal
 decreto-legge impugnato).
    Ma  il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione
 della  deliberazione  del  Consiglio   dei   Ministri   relativa   al
 decreto-legge  in  questione.  Cio'  comporta una puntuale violazione
 della norma  statutaria  e  dell'autonomia  regionale,  e  quindi  la
 incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata.